Si parla sempre più di knowledge worker (Peter Drucker, 1999) per indicare quei lavoratori che fanno della creazione, sviluppo e diffusione della conoscenza il proprio punto di forza. Questo gruppo di lavoratori – in verità – sta formando una “nuova popolazione” lavorativa, ancora in evoluzione.
Le conoscenze sono, oggi, sempre più legate al cambiamento introdotto dalle nuove tecnologie (sempre più pervasive e differenziate). Questo tema è di una tale vastità che ad affrontarlo in un articolo si rischia di esporre una visione parziale del fenomeno. La rivoluzione telematica, detta Ict (Information & communication technology), apre le porte a milioni di nuove professioni in Europa: non solamente per le mansioni “tecniche” (cruciali per rendere le applicazioni sempre più sofisticate ma al tempo stesso più facili da usare), ma anche per quelle di tipo umanistico, in grado di dare un contributo di creatività e intraprendenza per sfruttare al meglio le risorse tecnologiche e per ricercare nuove e originali applicazioni, a cui non si era ancora pensato.
I consulenti organizzativi ci aiutano a gestire i complessi meccanismi di scambio elettronico delle informazioni, mentre gli psicologi del lavoro si occupano degli aspetti metodologici e contenutistici della selezione e formazione delle nuove risorse umane.
La tecnologia ha, infatti, effetti dirompenti (Seymour Papert, padre dell’intelligenza artificiale): non solo ci aiuta a fare meglio le cose di sempre, ma ci offre anche la possibilità di ripensare alle cose fatte fino ad oggi, mettendo in discussione la loro stessa esistenza.
Nelle aziende, quindi, si accentua la necessità di rintracciare risorse umane qualificate e con diversificate competenze: si passa dal concetto di “lavoro” alla valorizzazione della professione.
Oggi, purtroppo, le professionalità carenti sono parecchie; la Commissione europea ha valutato questo fenomeno di skill shortage in 500 mila unità nel 1999 (69 mila per il nostro paese, Assinform 2000), valore destinato ad aumentare nel corso degli anni (nella tabella alcuni esempi di posizioni carenti sul mercato).
Tabella – Posizioni carenti sul “mercato”
Le nuove professioni, censite al 15 gennaio 2001 (Wtb, Franco Amicucci, analisi di 4.000 annunci di ricerca personale), sono 174, divise in sette grandi famiglie: business, contenuti, formazione, impresa, management, supporto e tecnologia. Accanto alle figure note, troviamo anche profili sconosciuti o fumosi e inconsistenti (cfr. www.html.it/focus). Senza entrare nel dettaglio delle singole professioni, il dato di sintesi è che le aziende hanno necessità di “uomini” solidamente preparati e non autodidatti-tuttofare, e non vanno semplicemente alla ricerca di definizione di profili o di mestieri, ma di contenuti professionali ben definiti.
Le nuove professioni non si riferiscono esclusivamente al “mondo internet”, ma riguardano anche altri settori, che avendo introdotto aggiornamenti telematici o informatici, hanno rivoluzionato il modo di operare (come nel caso dell’editoria).
Nascono così figure del tutto nuove, come l’editore multimediale o il web surfer, oppure il fotografo digitale, che svolge un ruolo del tutto differente dal fotografo tradizionale per gli strumenti e le modalità con cui opera. Cambia il modo di lavorare (e di vivere): le montagne di carta e di faldoni da sistemare in polverosi archivi lasciano il posto a computer collegati alla rete o a intranet. Le informazioni viaggiano veloci in rete, e aiutano a lavorare meglio e a risolvere i problemi con maggiore celerità. I note book ci permettono di consultare archivi, norme di legge, procedure, per cui si può facilmente lavorare a casa o in aeroporto durante un’attesa (con strumenti wireless). Il telelavoro (detto anche home working o e-work), da molto tempo teorizzato,è ormai divenuto una realtà specie per i creativi, gli esperti di hi-tech, i professionisti, i consulenti o venditori via telefono. In termini più generali si può decidere il tempo e il luogo di lavoro, dando così ampi spazi di autonomia e grande libertà di lavorare con tempi e nei luoghi che il singolo ritiene più opportuni. Grazie ai pc, ai telefoni cellulari e ai fax si possono conciliare le esigenze lavorative con quelle personali e organizzare le giornate lavorative senza vincoli di luogo ed evitando estenuanti spostamenti per raggiungere il posto di lavoro.
Il continuo cambiamento dello scenario competitivo ha inevitabilmente ridisegnato i modelli di business e modificato anche gli assetti organizzativi, introducendo modelli flessibili di organizzazione idonei a rispondere alle incertezze del mercato. Oggi l’organizzazione deve essere in grado di facilitare la crescita professionale delle persone che la compongono, valorizzando la loro autonomia e l’imprenditorialità. Rivisitare i modelli organizzativi tradizionali significa principalmente porre al centro le competenze distintive, ossia l’insieme di conoscenze, idee, comportamenti, competenze diagnostiche, decisionali e di problem solving, che diventano – nella loro globalità – il vero asset strategico di un’impresa. Queste competenze trasversali consentono di agire in contesti operativi differenti in una logica di aggiornamento continuo, e sono affiancate da competenze tecnico-specialistiche, che sono comunque necessarie per le specifiche attività. Mentre le competenze specialistiche erano rivolte – come valenza strategica – all’innovazione del prodotto, quelle trasversali sono indirizzate a garantire un veloce adattamento degli individui agli improvvisi cambiamenti dello scenario in cui vengono ad operare le imprese.
Le leve fondamentali delle organizzazioni divengono, pertanto:
In altri termini la line deve creare un ambiente di lavoro che porta le persone a mettere a disposizione il proprio patrimonio di risorse, valorizzando in ciascuno le potenzialità inespresse, al fine di trovare le soluzioni adatte ai nuovi problemi.
La competitività fra imprese si gioca anche sulla capacità di gestire le informazioni, trasformandole in competenze, fonti del reale vantaggio competitivo.
Quindi le tecniche di gestione delle risorse umane si indirizzano verso il coaching o il counselling, capaci di favorire e sostenere l’integrazione e di sviluppare quelle competenze trasversali. Le strutture organizzative divengono lean and flat e sono capaci di gestire incertezza e cambiamento, ma al tempo stesso anche di motivare e di indirizzare le persone e si concentrano sul core business cedendo all’esterno, in outsourcing, tutto quanto “non è core”, evitando così dispersione di energie in attività a basso valore aggiunto. I livelli gerarchici si riducono al minimo, l’attenzione è focalizzata sui processi, la comunicazione diventa sempre più informale, le conoscenze vengono condivise, la responsabilità sempre più diffusa e – sul versante esterno – si cercano alleanze strategiche e partnership operative.
Questi modelli organizzativi flessibili si rendono indispensabili per far fronte all’ambiente altamente competitivo e complesso, inteso come molteplicità di elementi da governare contemporaneamente. Anche la tecnologia può aiutare a realizzare struttura organizzative flessibili: basti pensare alla realizzazione (Web Economy, n° 501, marzo 2000) dei portali aziendali (enterprise portal) che possono realizzare il B2E (Business to employee) ossia mettere a disposizione notizie, risorse, applicazioni e opzioni di e-commerce, per rendere accessibile a tutti in azienda informazioni e servizi integrati per guidare il cambiamento.
L’informatica è diventata un mezzo di comunicazione indispensabile e certamente le tecnologie aprono spazi di libertà, ma i computer possono condannarci a ritmi lavorativi logicamente improponibili. L’invasività delle tecnologie (eccesso di un loro utilizzo) come incide sui “tempi di vita”? Il telelavoro come modifica i rapporti in famiglia (spazi fisici e rapporti interpersonali)? Come viene regolata la “dilatazione” dell’orario di lavoro (non più schiavi del “cartellino”, ma della rete)? Le applicazioni di Ict possono portare stress da isolamento e demotivazione?
E’ risaputo che lo stress è la reazione a contesti che richiedono livelli troppo alti o troppo bassi di impegno rispetto alle proprie capacità. A differenza delle tecnologie “meccaniche” (azioni ripetitive e monotone) che producono stress a basso livello, le tecnologie a base “informatica” tendono a produrre un sovraccarico informativo e ansie per la perdita del controllo dell’ambiente (stress da interazione) che sono fonte di stress sociale.
Siamo preparati ad evitare la dipendenza e l’uso smodato del video terminale e a gestire scambi e conversazioni in contesti temporali astratti. Essere al passo con i tempi significa anche non sentirsi dominati da questi strumenti.
Un altro aspetto ancora. Attraverso gli strumenti telematici il lavoro comincia ad essere spedito oltre frontiera, in quanto le nuove tecnologie permettono di scegliere tra l’importazione di collaboratori qualificati e l’esportazione di lavoro svolto a domicilio. Tuttavia telelavoro nonè solamente quello svolto a domicilio, ma una modalità lavorativa che si sta sviluppando (poco in Italia) su vasta scala, delocalizzando il luogo di lavoro. Il telelavoro si presenta sotto diverse forme: domiciliare, quando l’attività si svolge nell’abitazione del lavoratore; working out, dove l’attività è prestata in una continua variabilità del posto di lavoro; centri di lavoro, ossia strutture attrezzate (in genere nello stesso quartiere) dove i lavoratori in aziende diverse si recano per svolgere la loro attività; uffici decentrati (remotizzazione del lavoro; invece di trasferire i lavoratori si sposta l’attività) collegati alla sede con reti telematiche. Questa attività, però, si svolge in assenza di un quadro normativo specifico, che disciplini il telelavoro e in genere si applicano, per similitudine, le regole del lavoro subordinato; si sopperisce con accordi sindacali che regolano materie come spese telematiche, fascia oraria di collegamento con l’ufficio, presenza periodica in azienda, diritto a partecipare alle riunioni sindacali, ecc.
Resta comunque il problema di fondo, ancora poco analizzato, di isolamento sociale e di aggiornamento professionale.
Infine ricordiamo che taluni processi lavorativi richiedono spesso un lavoro di gruppo, non necessariamente con ritmi sequenziali, per cui la libertà di tempo e luogo è teorica e viene condizionata e limitata da esigenze aziendali.
Concludiamo con una nota di sincero ottimismo. Come in altri momenti storici, il progresso tecnologico apre un’epoca di creazioni, ma al tempo stesso di distruzione di posti di lavoro; Schumpeter lo definì un processo di “distruzione creatrice” perché diventa una “disgrazia” per chi esercita lavori non più richiesti, ma una “benedizione” per coloro che hanno competenze e professionalità per operare nel nuovo settore.